Tutti hanno un paio di ali ma solo chi sogna impara a volare.

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My Spirit of Fairy


Carezze di fiati sulle guance, petali di rosa sulle mie labbra...
Carezze di fiati sulle guance, petali di rosa sulle mie labbra...
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venerdì 28 marzo 2008

I Sogni Son Desideri


I sogni son desideri
chiusi in fondo al cuor
nel sonno ci sembran veri
e tutto ci parla d'amor
se credi chissa che un giorno
non giunga la felicità...
non disperare nel presente
ma credi fermamente
e il sogno realtà diverraaa!
se il mondo soffrir ti fa..
non devi disperar..
ma chiudi gli occhi per sognar
e tutto cambierà
i sogni son desideri
chiusi in fondo al cuor
nel sonno ci sembran veri
e tutto ci parla d'amor
se credi chissa che un giorno
non giunga la felicità
non disperare nel presente
ma credi fermamente
e il sogno realà diverrà...

domenica 23 marzo 2008

Equinozio di primavera e la Pasqua.

L’Equinozio di primavera, come quello d’autunno, è uno dei due momenti dell’anno in cui giorno e notte sono in perfetto equilibrio (la parola equinozio deriva dal latino “aequus nox”, notte uguale).

Astronomicamente l’equinozio di primavera (chiamato anche Vernale) è il momento in cui il sole si trova al di sopra dell’equatore celeste.

L’Equinozio d’autunno segna l’inizio della metà oscura dell’anno e quello di primavera l’esatto opposto: è l’inizio della metà luminosa, quando le ore di luce superano le ore di buio. E’ il primo giorno della primavera, la stagione della rinascita, associata presso varie culture a concetti come fertilità, resurrezione, inizio.

Le antiche tradizioni ci offrono infatti tutta una serie di miti legati alla primavera, che hanno al loro centro l'idea di un sacrificio a cui succede una rinascita.

Un mito che mostra bene l'idea di un sacrificio e di una successiva rinascita è quello frigio di Attis e Cibele: Attis, bellissimo giovane nato dal sangue della dea Cibele e da questa amato, voleva abbandonarla per sposare una donna mortale. Cibele lo fece impazzire ed egli si evirò morendo dissanguato. Dal suo sangue nacquero viole e mammole. Gli dei, non potendolo resuscitare, lo trasformarono in un pino sempreverde.
Come molte delle antiche festività pagane, anche l’Equinozio di Primavera fu cristianizzato: la prima domenica dopo la prima luna piena che segue l’Equinozio (data fissata nel IV°secolo D.C.), i cristiani celebrano la Pasqua commemorando la resurrezione di Cristo avvenuta proprio durante la festività ebraica così denominata che ricorda l'esodo del popolo di Israele dall'Egitto.
I popoli Celti denominavano l’equinozio di Primavera “Eostur-Monath” e successivamente “Ostara”.

Il nome sembrerebbe provenire da aus o aes e cioè Est, e infatti si tratta di una divinità legata al sole nascente e al suo calore. E del resto il tema dei fuochi e del ritorno dell’astro sarà un tema ricorrente nel prosieguo delle tradizioni pasquali.

A Eostre era sacra la lepre, simbolo di fertilità e animale sacro in molte tradizioni. I Britanni associavano la lepre alle divinità della luna e della caccia e i Celti la consideravano un animale divinatorio.

Si dice che i disegni sulla superficie della luna piena raffigurino una lepre, ricordo questo dell'associazione dell'animale con divinità lunari. Questa raffigurazione della "lepre nella luna" appare nelle tradizioni cinesi, europee, africane e indiane. Nella tradizione buddhista le leggende narrano di come una lepre si sacrificasse per nutrire il Buddha affamato, balzando nel fuoco. In segno di gratitudine il Buddha impresse l'immagine dell'animale sulla luna. In Cina la lepre lunare ha un pestello ed un mortaio con cui prepara un elisir di immortalità. Gli Indiani Algonchini adoravano la Grande Lepre che si diceva avesse creato la Terra. Nell'antica Europa i Norvegesi rappresentavano le Divinità lunari accompagnate da una processione di lepri che portano lanterne. Anche la Dea Freya aveva come inservienti delle lepri e la stessa Dea Eostre era raffigurata con una testa di lepre.

La lepre di Eostre, che deponeva l'uovo della nuova vita per annunciare la rinascita dell'anno, è diventata l'odierno coniglio di Pasqua che porta in dono le uova, altro simbolo di fertilità.

Così le uova pasquali si ricollegano alle tradizioni pagane in cui si celebrava il ritorno della dea andando a scambiarsi uova “sacre” sotto l’albero ritenuto “magico” del villaggio, usanza che collega Eostre alle divinità arboree della fertilità.

E l'uovo non è scelto a caso ma è da sempre simbolo di vita, di creazione, di rinascita.

Per il primitivo raccoglitore e cacciatore la primavera portava gli uccelli a deporre le proprie uova e dunque ad avere un nuovo sostentamento dopo l’austerità dell’inverno.

martedì 18 marzo 2008

venerdì 14 marzo 2008

JANAS; Le piccole fate delle rocce


Chi erano
Sono descritte come una specie di piccolissime fate che vivevano in buchi scavati nelle rocce (le cosiddette domus de janas).

Uscivano solo di notte, affinché i raggi del sole non rovinassero la loro candida pelle.
Quando, nelle notti senza luna, si spostavano per andare a pregare presso i templi nuragici, erano costrette a percorrere sentieri ripidi e ricoperti di rovi.

Per evitare le spine, le janas diventavano luminose: questo chiarore segnalava la loro presenza.

Cosa facevano
Erano specializzate in ogni tipo di lavoro domestico: tessevano splendide stoffe e preparavano un pane più leggero dell'ostia.

Secondo la leggenda, possedevano telai d'oro, setacci per la farina fatti d'argento. Ma non solo: esse custodivano un immenso tesoro, fatto di oro, perle, diamanti.

A difesa di queste ricchezze erano poste le cosiddette muscas maceddas, orribili creature con testa di pecora, un occhio solo al centro della fronte, denti aguzzi, ali corte e, sulla coda, un pungiglione velenoso.
Le muscas si trovavano nascoste dentro una cassa, mischiata a tante altre contenenti il tesoro.
Poiché nessuno osava rischiare di aprire la cassa sbagliata, liberando così i terribili insetti, il tesoro da sempre era e rimaneva di proprietà delle janas.

Curiosità

* Le janas accompagnavano il loro lavoro con un bellissimo canto: la melodia si spandeva nell'aria e nelle notti silenziose dava conforto ai viandanti solitari.
* Le tombe preistoriche, scavate nella roccia 5-6000 snni fa, diffusissime in Sardegna, sono chiamate domus de janas (case delle janas)




La leggenda
Grotte Is Janas, (le Fate)

Secondo la leggenda la grotta era da tempo immemorabile la dimora fissa di tre janas, mezze fate e mezze streghe, rispettate e temute dagli abitanti della zona.
Esse amavano la buona cucina e dedicavano molto tempo alla preparazione di manicaretti e pasticcini.
Un giorno decisero di fare molte frittelle e, di buona lena, iniziarono a prepararle; così, friggendo e mangiando, non si resero conto che il tempo passava e che era giunto il periodo della quaresima.
Un frate che da Sadali attraversava il bosco per andare a predicare a Seulo, fu attratto dal profumo delle frittelle, raggiunse l’ingresso della grotta vi entrò e arrivo nella sala in cui le Janas erano intente a cucinare.
Adirato perché non si preparavano spiritualmente ai riti liturgici e non rispettavano il digiuno quaresimale, le rimproverò aspramente, ottenendo però l’effetto contrario.
Infatti le Janas, anziché pentirsi per il loro operato, aggredirono il religioso, lo bastonarono ben bene e, convinte di farla franca lo impiccarono.
Ma non avevano ancora fatto in tempo a rimettersi a friggere che l’inesorabile giustizia di Dio si abbatté sul loro capo, punendole in modo singolare.
Furono infatti pietrificate, unitamente ai loro utensili (macina, forno, padelle), alle provviste ed e al cadavere del povero religioso che pende ancora dal soffitto come una grossa stalattite..



Esseri leggendari, Credenza Sarde.
Sa Filonzana: è ritenuta la Parca sarda che fila col fuso il filo del destino di tutti, che conosce e che è nelle sue mani. E’una maschera tipica del carnevale sardo, cattiva e ambigua, ha una gobba ed è vestita di nero. Conosce e spesso decide della sorte degli uomini col suo filo che, tutti temono, potrebbe spezzarsi. E’ rispettata ma non gradita e la gente ha paura di lei. Nella notte di capodanno pare che sa Filonzana seguisse i ragazzi per una questua di frutta secca e dolciumi per ogni casa del paese garantendone la buona riuscita.

Sùrbiles: erano le donne vampiro che di notte , fra la mezzanotte e le tre, andavano a succhiare il sangue dei neonati dalla fontanella del cranio. Per arrivare alle camere delle vittime, si trasformavano , a seconda della tradizione, in mosca, gatto, uccello, fumo o gomitolo. La trasformazione avveniva grazie ad oli vegetali , a pozioni magiche a base di sangue, grasso di cadavere o bacche di ginepro. In certe zone si riteneva che le donne nate il 24 dicembre e le settime figlie femmine erano destinate a diventare streghe vampiro. Per tenere lontane le Sùrbiles si usavano degli amuleti da mettere vicino alla culla del neoneto: una scopa , dei coltelli, un treppiede, un mazzo di foglie di issopo e arancio. In alcune zone si usava tappare le fessure delle finestre o della porta con la cera vergine, in altre si usava mettere un paio di scarpe a capo del letto da abbinare ad un fazzolettoda testa da mettere ai piedi del letto. Si pensava, inoltre, che l’unico santo in grado di contrastare il potere delle streghe vampiro fosse San Sisinno e che il bambino che portava il nome del santo fosse immune.

Panas: erano gli spiriti delle donne morte nel parto, che erano condannate a restare sulla terra con le stesse sembianze che avevano da vive e lavare i panni del bambino morto per un periodo compreso fra i due e i sette anni. Mentre lavavano i panni dall’una di notte fino alle tre cantavano una tristissima ninna nanna. Erano condannate a non parlare e a non interrompere il lavoro per non dover ricominciare il tempo della penitenza.

mercoledì 12 marzo 2008

kahlil gibran

I Figli
E una donna che aveva al petto un bambino disse: Parlaci dei Figli.
I vostri figli non sono i vostri figli.
Sono i figli e le figlie della brama che la Vita ha di sé.
Essi non provengono da voi, ma per tramite vostro,
E benché stiano con voi non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore ma non i vostri pensieri,
Perché essi hanno i propri pensieri.
Potete alloggiare i loro corpi ma non le loro anime,
Perché le loro anime abitano nella casa del domani, che voi non potete visitare, neppure in sogno.
Potete sforzarvi d'essere simili a loro, ma non cercate di renderli simili a voi.
Perché la vita non procede a ritroso e non perde tempo con ieri
Voi siete gli archi dai quali i vostri figli sono lanciati come frecce viventi.
L'Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell'infinito,
e con la Sua forza vi tende affinché le Sue frecce vadano rapide e lontane.
Fatevi tendere con gioia dalla mano dell'Arciere;
Perché se Egli ama la freccia che vola, ama ugualmente l'arco che sta saldo.




I Sette Io
Nell'ora più quieta della notte, mentre giacevo nel dormiveglia, i miei
sette io si riunirono a colloquio, e così conversavano in sommessi bisbigli:
Primo io: Qui, in questo folle, io ho abitato tutti questi anni, con l'unico
compito di rinnovare il suo dolore di giorno e ricreare la sua sofferenza di
notte. Non posso tollerare oltre la mia sorte: io mi ribello.
Secondo io: Il tuo destino, fratello, è migliore del mio, perché a me è dato
essere l'io gioioso di questo folle. Rido il suo riso e canto le sue ore
felici, e con il piede tre volte alato danzo i suoi pensieri più smaglianti.
Sono io che mi ribello contro la mia tediosa esistenza.
Terzo io: E di me allora, dominato da amore, spada fiammeggiante di passione
selvaggia e capricciosi desideri, cosa dire? Sono io, malato d'amore, che
intendo ribellarmi contro questo folle.
Quarto io: Tra tutti voi io sono il più infelice, perché nulla mi fu dato se
non esecrabile odio e rovinoso rancore. Sono io, simile a tempesta, nato
nelle caverne nere dell'Inferno, sono io che elevo protesta contro la
schiavitù a questo folle.
Quinto io: No, non voi, ma io mi ribello, io che penso, io che immagino e
fantastico, affamato e assetato, condannato a errare senza sosta alla
ricerca di cose sconosciute e di cose non ancora create; sono io che mi
ribello, non voi.
Sesto io: Quanto a me, sono colui che lavora, l'uomo di fatica che con mano
paziente e occhi colmi di desiderio trasforma i giorni in immagini e
conferisce agli elementi informi nuove ed eterne forme - io, il solitario,
sono io che mi ribello contro questo folle irrequieto.
Settimo io: Com'è strano che ciascuno di voi si ribelli contro quest'uomo
per il fatto che ognuno ha una sorte prestabilita. Potessi essere come voi,
un io con un destino determinato! Ma non ne ho alcuno, sono l'io inoperoso,
quello che siede nel muto e vuoto non-luogo e non-tempo, mentre voi siete
indaffarati a ricreare la vita. Chi è che deve ribellarsi, amici, voi o io?
Quando il settimo io ebbe così parlato, gli altri sei lo guardarono
compassionevoli, senza ribattere; e mentre la notte si faceva profonda, uno
dopo l'altro si coricarono avvolti in una sottomissione nuova e felice.
Ma il settimo io rimase a fissare il nulla, che è al di là di tutte le cose.




Il Cane Saggio
Un giorno un cane saggio passò nei pressi di una compagnia di gatti.
E poiché, dopo essersi accostato, vide che erano tutti molto intenti tra loro e che a lui non badavano affatto, si fermò.
In quella compagnia si levò allora un grosso, solenne gatto, che dopo aver guardato per un pò, disse:"Fratelli, pregate; e quando avrete pregato più e più volte, allora, non c'è da dubitarne, pioveranno topi da ogni parte".
Quando il cane ebbe udito tali parole, rise tra sè e si allontanò dicendo:"Oh, gatti ciechi e sciocchi! Come se non fosse scritto e io non sapessi e non sapessero i miei padri prima di me, che ciò che piove per effetto della preghiera e della fede e dellle suppliche non sono topi, ma ossa".

domenica 9 marzo 2008

8 marzo

La Giornata Internazionale della Donna, comunemente però definita Festa della Donna è un giorno di celebrazione per le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne ed è una festività internazionale celebrata in diversi paesi del mondo occidentale l'8 marzo. L'usanza di regalare mimose in occasione della festa non è invece diffusa ovunque. L'8 marzo era originariamente una giornata di lotta, specialmente nell'ambito delle associazioni femministe: il simbolo delle vessazioni che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli. Tuttavia nel corso degli anni il vero significato di questa ricorrenza è andato un po' sfumando, lasciando il posto ad una ricorrenza caratterizzata anche - se non soprattutto - da connotati di carattere commerciale e politico.



Le origini della festa dell'8 Marzo risalgono al lontano 1908, quando, pochi giorni prima di questa data, a New York, le operaie dell'industria tessile Cotton scioperarono per protestare contro le terribili condizioni in cui erano costrette a lavorare. Lo sciopero si protrasse per alcuni giorni, finché l'8 marzo il proprietario Mr. Johnson, bloccò tutte le porte della fabbrica per impedire alle operaie di uscire. Allo stabilimento venne appiccato il fuoco e le 129 operaie prigioniere all'interno morirono arse dalle fiamme. Successivamente questa data venne proposta come giornata di lotta internazionale, a favore delle donne, da Rosa Luxemburg, proprio in ricordo della tragedia.
Questo triste accadimento, ha dato il via negli anni immediatamente successivi ad una serie di celebrazioni che i primi tempi erano circoscritte agli Stati Uniti e avevano come unico scopo il ricordo della orribile fine fatta dalle operaie morte nel rogo della fabbrica.
Successivamente, con il diffondersi e il moltiplicarsi delle iniziative, che vedevano come protagonistele rivendicazioni femminili in merito al lavoro e alla condizione sociale, la data dell'8 marzo assunse un'importanza mondiale, diventando, grazie alle associazioni femministe, il simbolo delle vessazioni che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli, ma anche il punto di partenza per il proprio riscatto.
Ai giorni nostri la festa della donna è molto attesa , le associazioni di donne organizzano manifestazioni e convegni sull'argomento, cercando di sensibilizzare l'opinione pubblica sui problemi che pesano ancora oggi sulla condizione della donna, ma è attesa anche dai fiorai che in quel giorno vendono una grande quantità di mazzettini di mimose, divenute il simbolo di questa giornata, a prezzi esorbitanti, e dai ristoratori che vedranno i loro locali affollati, magari non sanno cosa è accaduto l'8 marzo del 1908, ma sanno benissimo che il loro volume di affari trarrà innegabile vantaggio dai festeggiamenti della ricorrenza. Nel corso degli anni, quindi, sebbene non si manchi di festeggiare queste data, è andato in massima parte perduto il vero significato della festa della donna, perché la grande maggioranza delle donne approfitta di questa giornata per uscire da sola con le amiche per concedersi una serata diversa, magari all'insegna della "trasgressione", che può assumere la forma di uno spettacolo di spogliarello maschile, come possiamo leggere sui giornali, che danno grande rilevanza alla cosa, riproponendo per una volta i ruoli invertiti.

Spero che qualche donna ieri si sia ricordata di questo tragico evento mentre mezzo nuda dava mance imbarazzanti a spogliarellisti avari...

domenica 2 marzo 2008

La Fata Scura

Le Fate, si sa, sono esseri impalpabili e sensibili che vivono di preferenza nei boschi e ovunque vi sia vegetazione di cui prendersi cura, poiché una tra le loro funzioni è quella di seguire tutti i delicati processi di generazione e rigenerazione di piante, fiori e alberi. Le Fate amano molto condividere le loro danze e i loro giochi con altri Spiriti della Natura che abitano la Terra e gli altri Elementi, e in generale sono attratte da tutto ciò che è piacevole e leggero, compresi i pensieri, mentre rifuggono le atmosfere cupe e tristi che le appesantiscono togliendo loro luce e vitalità.

Queste Fate che presiedono alla vegetazione nascono generalmente nelle notti di Luna Piena: quando un raggio di Luna incontra una goccia di rugiada, si forma come una nuvoletta di vapore opalescente che si addensa fino a diventare una sorta di minuscolo batuffolo, un bozzolo soffice e luminoso fatto dei sogni più belli, dal qualecon il primo raggio di Sole emerge una nuova Fata circondata dal suo alone luminoso.
Una notte nel Bosco, proprio mentre la Luna nutriva coi suoi raggi il candido bozzolo nel quale si stava formando una Fatina vegliata dagli altri Spiriti della Natura, passò una enorme nube nera che oscurò completamente l'astro e la sua luce. Non era una nube qualunque, fatta di pioggia, lampi e tempesta. Era una nube terribile che, passando sulle città degli uomini, si era saturata di rabbia, gas e frenesia, di rancore e rumori assordanti, di tutte le emozioni più dense e pesanti, di tutti i pensieri violenti. In due parole, puro veleno. Al passaggio della nube davanti alla Luna, immediatamente il
bozzolo iniziò a sussultare e a contrarsi, e la sua luce cominciò ad affievolirsi. Invano Fate, Elfi, Gnomi e Folletti si prodigarono intorno all'embrione di Fata: una cosa simile non era mai accaduta, e nessuno sapeva cosa fare. Non restava che attendere l'alba.
L'alba venne, e col primo raggio di Sole l'involucro, ormai simile a un grumo di ragnatela rinsecchita, si ruppe.


Tutti trattennero il fiato, e alla vista della creatura che faticosamente uscì dal bozzolo non riuscirono a trattenere un gemito di orrore: era un essere informe e inquietante, senza contorni definiti, una Fata scura, densa e stropicciata come non se n'erano mai viste prima, dal viso e dal corpo segnati da solchi ancor più scuri che la rendevano simile ad un frutto avvizzito.

Ammutoliti dallo stupore e dal timore, le creature del Bosco indietreggiarono svelte di un buon passo, allontanandosi dall'ultima nata. Questa percepì il freddo e la distanza, e divenne ancor più informe e rinsecchita.
"E' proprio brutta, con quelle rughe!" mormorò una Fata Azzurrina, e sul volto della Fata Scura comparvero immediatamente altri solchi.
"E' cosi scura e densa!" fece eco un'altra Fata, e Scura divenne ancor più scura e densa, e si accigliò.
"Sembra così goffa e contorta per essere una Fata..." disse uno Gnomo, e Scura si sentì rattrappire le gambe già malferme, e finì carponi a terra. Era appena venuta al mondo e non capiva cosa le stesse accadendo, ma di certo non era piacevole.
"E questo è niente! Guardate: senza luce com'è, le piante appassiranno al suo tocco!" gridò una Fata Verde, allarmando tutta la comunità del Bosco.
"E i semi non germoglieranno!" terminò un'altra.

Scura, disorientata, si guardava intorno mentre il suo sguardo si faceva sempre più torvo e, chissà perché, appannato.

"Una Fata con questo aspetto non può che essere malvagia o portare sfortuna..." sussurrò uno Gnomo, sottovoce sì, ma non abbastanza: Scura si voltò dalla sua parte proprio mentre una grossa ghianda si staccava dalla quercia sovrastante e colpiva lo Gnomo dritto sulla testa... A quel punto fu
un parapiglia generale: mentre alcuni Gnomi soccorrevano l'incauto sfortunato, Fate e Folletti si abbandonavano ad animati commenti: "Allora è vero che porta sfortuna!" faceva uno. "E' lei stessa una sfortuna per la nostra comunità!" diceva un altro, e così via.

Scura sentiva dolore dappertutto mentre il corpo si raggrinziva ancora, e un dolore al petto che si faceva sempre più acuto; il suo corpo si accartocciava e il suo sguardo diventava sempre più annebbiato, fino a che un liquido salato prese a scorrerle dagli occhi lungo il viso. Poi qualcosa in lei si ruppe, e con un urlo che raggelò i presenti fece un balzo e si trascinò barcollando nel folto del Bosco.
Mentre passava accanto ai ruscello, l'istinto le suggerì di specchiarvisi per vedere cosa spaventava tanto chi l'aveva accolta, ma le Ondine stesse, alla sua vista, indietreggiarono, così che l'acqua si ritirò. Era davvero troppo per la piccola Fata Scura che, con un grugnito insieme sdegnoso e rassegnato, sparì rifugiandosi in quell'angolo scuro del Bosco dove il Sole non batteva mai.

Un Elfo dal cuore sensibile aveva assistito pensieroso alla sequela di avvenimenti che avevano gettato il Bosco nel panico, panico che, come ben si sa, non si addice molto agli Spiriti fatati. Gli Elfi, creature che amano la compagnia delle Fate, sono fortunatamente molto rapidi nel captare l'essenza degli eventi e a formulare soluzioni. L'Elfo aveva notato che la piccola Fata Scura era peggiorata a vista d'occhio dopo la sua nascita, come se avesse dato corpo ai timori e alle previsioni dei suoi compagni sconcertati. E certamente era stato l'influsso di quella nube a causare quello strano fenomeno. L'Elfo si mise allora alla ricerca della Fata, certo di poter rimediare alla situazione, e la scovò raggomitolata nel freddo e buio angolo del Bosco dove crescevano solo i funghi velenosi.
L'Elfo non aveva paura di Scura perché aveva il cuore leggero come l'Aria e l'Aria non si può ferire,
quindi le sì avvicinò e cominciò a soffiarle intono piccoli vortici leggeri come lui, cercando di solleticarla per farla almeno sorridere. Ma Scura non ne voleva sapere, e con uno "sgrunt" sì girò dall'altra parte. Allora l'Elfo volò a raccogliere dal fiore più vicino una goccia di nettare dolcissimo e lo offrì alla Fata intrufolandosi tra le foglie marce che la celavano. Scura si irritò ancor di più e, per scacciare l'intruso, cercò di colpirlo, ritrovandosi tutta impiastricciata di nettare che, suo malgrado, così assaggiò. Tutta quella dolcezza sembrò placare il suo tormento, e finalmente Scura si addormentò.
Intanto l'Elfo aveva riunito l'assemblea, esponendo un piano che aveva convinto tutti gli Spiriti della Natura abitanti nel Bosco. Tutti quanti, dispiaciuti per essersi lasciati travolgere dalle loro paure e per aver abbandonato a se stesso un membro della comunità del Bosco in difficoltà, si misero all'opera cercando di aiutare quella piccola Fata Scura che forse essi stessi, inconsapevolmente, avevano contribuito a far diventare un mostro.

Fate, Gnomi, Elfi e Folletti lavorarono tutto il giorno per sfoltire la vegetazione che, nel luogo in cui Scura si era rifugiata, ostacolava il passaggio della luce. Verso il tramonto, trasportarono nei luogo in cui Scura giaceva una gran quantità di profumati petali di fiori dei più bei colori, e senza svegliare la piccola, li sostituirono alle foglie marce che la nascondevano alla vista. Poi la vegliarono tutta la notte e, mentre la luce della Luna che filtrava tra i rami e le foglie la accarezzava dolcemente, cantarono per lei.



"Sei una Fata bellissima..." intonava un Elfo; "...luminosa e leggera..." proseguiva una Fata; "...Sei sensibile e flessuosa..." cantava qualcuno, "...gentile ed elegante..." concludeva qualcun altro, e così in coro, per tutta la notte, gli Spiriti fatati del Bosco tesserono gli elogi di quella piccola Fata, inviandole dal profondo del cuore parole e pensieri accoglienti, pieni d'amore e di tenerezza.

Giunse l'alba, e la Fatina si svegliò con uno strano solletico nel petto. Il dolore era un ricordo lontano, forse un brutto sogno. Qualcosa in lei era mutato, e nello stiracchiarsi del risveglio percepiva il corpo trasformato, leggero. Le Salamandre dei primi raggi di Sole la riscaldarono, mentre timida faceva capolino tra bellissimi colori che non aveva mai visto. Agli occhi della
comunità del Bosco, che aveva vegliato tutta la notte, apparve una bellissima Fatina Lilla e Rosa, luminosa, titubante e stupita almeno quanto loro di un tale miracolo di trasformazione, operato dal potere dell'amore e della fiducia trasmessi da tutti quei cuori riuniti insieme.

Le mie passioni -Gothic Fairy Vampire-


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